In morte di Divo Giulio. 50 anni di potere e di cose non dette
Avrò assistito, lungo il corso della
mia seppur breve esistenza, ad una miriade di documentari, film, interviste e
speciali su Giulio Andreotti, e tuttavia non sono ancora convinto di essermene
fatto un’idea precisa. Ora che è passato a “peggior vita”, come ironicamente ebbe
modo di dire tempo fa in un dibattito riguardo la morte, qualche parentesi
lucida della sua spigolosa sagoma riemerge, ma è pur sempre circondata da un
anelito di sfumature e perplessità. Non amo fare dietrologia, specie quando una
persona, da poche ore, non c’è più, ma la sua vita mi appare come il quadro
incorniciato di una perenne “prescrizione”; i giudizi sul suo operato politico
e sulla sua condotta pubblica e privata restano pur sempre un ossequioso
rimando, un “no comment” all’americana. Giulio Andreotti è stato il padre della
prima Repubblica, della politica del compromesso, del “dico non dico”, della
cravatta a doppio nodo, dell’autoironia parlamentare e di tanti scheletri nell’armadio
che non farebbero invidia a nessun cimitero comunale. Ma tralasciando le mie perplessità,
che forse non interessano ai più, oggi è morto sicuramente uno degli uomini più
importanti della Dc. E la Democrazia Cristiana per noi italici post sabaudi, lo
si sa, è un po’ come il Va Pensiero di Verdi, la pipa di Pertini, il “lasciatemi
cantare” di Toto Cutugno.
Quindi, giustamente, qualcuno richiama
all’ordine e al rispetto della morte e delle istituzioni: e forse, c’ha pure
ragione data l’emorragia moralista che sta divampando in queste ore sul web e
nei media, gonfia di pateticità e d’un pizzico di blasfemia morale. Nell’analisi
logica della prima Repubblica, Andreotti non è la sola espressione di una
politica vecchia, corrosa dal tempo e da vecchi apparati cementificati e obsoleti:
sarà pure la proposizione principale lungo l’intero periodo ‘48-‘94, ma è
legata ad un’innumerevole serie ipotattica di subordinate che resistono tutt’ora.
Ognuno penserà ciò che gli pare su chi sia stato veramente Giulio Andreotti; io spero che i suoi cari esaudiscano il suo
desiderio, svelato, da lui stesso, tempo fa: “Cosa vorrei
sulla mia epigrafe? Data di nascita, data di morte. Punto. Le parole delle
epigrafi sono tutte uguali. A leggerle uno si chiede: ma scusate, se sono tutti
buoni, dov'è il cimitero dei cattivi?”
Commenti
Posta un commento