Il Pdl ricoverato d’urgenza, ma son tutti per l’eutanasia.


E’ mercoledì sera e su Porta a Porta avviene un confronto atlantico tra titani del Popolo delle Libertà intermittenti. Da una parte, l’unica luce della politica italiana tra le galassie di buchi neri e nane bianche; dall’altra i piedistalli pidiellini, che rispondono al nome di Lupi, Santanchè, Gelmini. E s’intuisce da subito che sarà una serata pietosa, e neanche per il fatto che Vespa esordisce cambiando Giorgia Meloni in Melone.
Tutti ad invocare la volontà del Cavaliere, che bisogna attendere il suo responso, che senza il suo input non si va da nessuna parte. Le Primarie? A detta loro, non sono l’unico metodo di riassetto partitico e non paiono manco funzionali. Porcate? Non credo. Piuttosto, a mio parere, si tratta semplicemente o di paura o di autoconvinzioni totalmente estranee alla realtà.

Gallina vecchia fa buon brodo, gallina marcia fa acqua sporca. Non si rendono conto, che il popolo è nauseato dalla loro presenza, che l’unica via di rilancio per l’Italia è la loro strada verso casa. Questi son convinti che possono ancora servirsi del serbatoio elettorale di Berlusconi per continuare a fargli la corte e non si sono accorti che il Paese manco più li calcola. Sono convinti che i loro voti sono sempre quelli, sì parlano del loro elettorato di centrodestra. Loro? Ma loro di chi?

In soli quattro giorni la Meloni ha raccolto 70.000 adesioni perché è giovane e rottamatrice, dall’altra sponda Renzi raccatta democristiani giorno per giorno come se fossero palline da tennis al Roland Garros, chi si affida a Grillo, chi manco vuol sentire parlare di voto e di urne. E questi parlano di voti. Scusate la retorica, ma mi immagino uno di loro che organizza un comizio a Pomigliano, a Taranto, a Termini Imerese, nelle Università, tra i milioni di cassaintegrati, e francamente non credo ci siano applausi.

Fanno parte di un partito in agonia e si prendono il lusso di attaccarsi ancora a ciò che dice Berlusconi. Hanno staccato la spina al centrodestra, ma non quella dei loro riflettori. Il messaggio non gli è ancora chiaro, non hanno capito che la gente vuole decidere il proprio leader, che vuole rinnovamento. O forse l’hanno capito, e pure bene.        

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