Analisi del voto: perché, in realtà, Virginia Raggi ha vinto.
Virginia Raggi e Carlo Calenda non andranno al ballottaggio. Sconfitti. Ma non del tutto. O meglio, potrebbero addirittura tracciare nuove rotte nella geografia partitica ed asfissiante del Belpaese, stretta nella tenaglia di un bipolarismo che, nonostante tutto, tiene. La sindaca dell’Urbe, la città più bella e complicata d’Italia, ereditava parecchie grane e durante l’ultima consiliatura al Campidoglio, ha subìto attacchi come se fosse al fronte. Alcuni motivati, per carità: ma la sensazione costante è che sia stata costantemente bersaglio di fuoco amico/nemico, ed - in ordine sparso - ha vestito i panni di: capro espiatorio, l’inadeguata, l’indagata (poi tutto archiviato), la regina dei cinghiali. La gestione della sua ricandidatura è una delle peggiori che un partito politico ricordi. Eppure stiamo parlando di Roma, mica pizza e fichi. Mentre l’establishment del partito pentastellato ieri faceva la gara al selfie più bello con il trionfale Manfredi, lei restava da sola, con “alcuni parlamentari” sempre fedeli a leccarsi le ferite. Le alleanze a macchia di leopardo di un movimento che sembra aver smarrito la sua identità rendono ancora più nebuloso un quadro, nel quale Conte & co. risultano appannaggio dei Democratici (a Napoli, la lista M5S non arriva al 10%). Autogol in zona Cesarini.
Eppure, in parte, Virginia ha vinto. Da sola, senza il binomio
efficace con il PD che ha funzionato a Bologna e Napoli, la sindaca uscente, è
andata oltre le liste ed è arrivata a sfiorare il 20%. Che non basta. Che non è
poco. Anzi in realtà potrebbe rappresentare la spada di Damocle del Movimento.
Si, perché adesso c’è da sperare che l’avvocato Conte non entri a gamba tesa per
il ballottaggio tentando di dare indicazione di voto per Gualtieri. Sarebbe,
senza dubbio, la goccia che fa traboccare il vaso di Pandora. E Di Battista resta alla finestra a pregustare.
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