“Forever Giorgio”: le tante luci e le poche ombre sul Napolitano 2.0


“Le ragioni attengono alla crisi delle formazioni politiche tradizionali, che dopo aver ceduto il potere a un tecnico e il consenso a un comico, non sono in grado di guidare il paese se non sono a loro volta guidate. Da qui nasce il presidenzialismo di fatto, il ruolo quasi da “protettore dello stato” assunto da Napolitano, che pure dell’ipotesi di trasformazione della Repubblica parlamentare in presidenziale è stato avversario”. 
Sergio Soave, Il Foglio di Martedì 23 aprile 2013

Alla fine è andata come avevo sperato, e non tanto per questioni affettive ma per una certa oggettività politica. Potrei anche aggiungere che me l’aspettavo, ma peccherei di presunzione, quella che potrebbe anche sfociare nella veggenza o in presunte facoltà esoteriche, tipiche branche dell’egocentrismo più esasperato. Diciamo allora chi mi son buttato ed all’elezione di Re Giorgio II ho tirato un sospiro di sollievo, non per la fumosità e la conseguente incertezza espressa a Montecitorio nel mentre si facevano nomi che avrebbero dovuto sostituire il suo. Per le falangi del radicalismo chic e del moralismo assueffato, Napolitano rappresenta il tipico politico camaleontico della seconda Repubblica, quello rosso fuori e bianco dentro, come cantava la 99 Posse in Rafaniello, ortaggio incoerente. Probabilmente le telefonate con Nicola Mancino e tutto il discorso sulla trattativa Stato/Mafia hanno tanto indispettito i giustizialisti dello stivale, dagli esuli di Ingroia a quelli che sopravvivono in Sel o nei Cinque Stelle. Oppure quello che proprio non gli si è potuto perdonare è stato il suo netto rifiuto del berlusconicidio dilagante ed il suo richiamo alla responsabilità nazionale legata all’impellente necessità di formare un esecutivo a larghe intese: unica opportunità, visto l’esito elettorale dello scorso febbraio. Ebbene, la sinistra radicale e quella mascherata (di Grillo) si sono opposte al Napolitano 2.0 ma gli hanno preferito un altro vecchio Pci, Stefano Rodotà. Mentre il Giorgio europeista, diplomatico e libertario è stato accolto, ieri come negli ultimi 7 anni, a braccia aperte dal centrosinistra e dal centrodestra, guarda caso i due schieramenti più votati. 
Ma la storia insegna e si ripete: chi è un vecchio comunista in stile Pci non deve aprirsi a politiche trasversali e d’intesa, seppur nell’interesse del paese. Napolitano fu criticato anni fa da Bertinotti, plausibilmente per essere stato troppo avanguardista, ma in realtà è stato lo stesso (in)Fausto a trasportare Rifondazione nei meandri delle basse percentuali. Ed è criticato oggi (la storia si ripete) da Vendola, che non ha perso l’occasione per rifilare, in merito, lo sgambetto immediato alla coalizione di Bersani che pure gli aveva permesso di varcare trionfalmente il Parlamento su un tappeto rosso, che tanto faceva pendant e vedersi la Boldrini alla Presidenza della Camera. Insomma, come ebbi a dire tempo fa, quella della sinistra radicale è una piccola percentuale che, seppur minima come gli zuccheri, sale al cervello. Ma questa è un’altra storia.
Nel discorso del suo giuramento di ieri pomeriggio, capolavoro dell’eloquenza politica, Giorgio Napolitano ha espresso con lucidità e precisione la fase di stallo della politica italiana e ne ha delineato le responsabilità partitiche che sono alla base. Ha parlato di rete, di mancate riforme, di contrapposizioni inutili e macchinose, ha chiarito che, qualora venisse accolto nuovamente dalla sordità parlamentare, prenderà le dovute decisioni. E’ proprio in questo passaggio che s’intravede la sagoma di un presidenzialismo saggio e morale, ma poi getta acqua sul fuoco, chiosando in tal modo: “Mi accingo al mio secondo mandato, senza illusioni e tanto meno pretese di amplificazione “salvifica” delle mie funzioni; eserciterò piuttosto con accresciuto senso del limite, oltre che con immutata imparzialità, quelle che la Costituzione mi attribuisce”. Un presidenzialismo di fatto e non sulla carta ha di certo i suoi limiti, ma entrerà in gioco, in questo caso, l’imponente personalità di Giorgio II. 



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