La presunzione non paga, chiede il conto alla cassa e poi fugge via.

La presunzione non paga, chiede il conto alla cassa e poi fugge via. Se la presunzione è giovane ha più voglia di espandersi, di annusare per poi fare la pipì sotto un palo della luce, come i cani quando sondano il territorio. In politica funziona più o meno cosi, e che essa puzzi di pipì, o meno, poi è un dettaglio: a volte l’esaltazione del proprio finto potere annebbia il proprio emisfero cerebrale a vantaggio dell’esaltazione dell’ego e a danno dell’umiltà. Chi sa di non sapere è il meno incline ai dogmi della presunzione, chi non sa e non lo sa, parte già in vantaggio. Preṡunzióne, sostantivo femminile, deriva dal verbo praesumĕre «presumere» (part. pass. Praesumptus) e vuol dire argomentazione o congettura per cui da fatti noti o anche in parte immaginati si ricavano opinioni e induzioni più o meno sicure intorno a fatti ignorati. E proprio da questo ultimo vocabolo, “ignorati”, bisognerebbe partire per tracciare la rotta dell’elisir contro le presunzioni croniche, quelle mal curate, o peggio sottovalutate. La diagnosi è più facile di quel che si pensi: lasciate stare i cani e la pipì, quello era un pretestuoso proemio, ma se l’autocoscienza vi suggerisce di essere affetti da codesta patologia, concentratevi sulla definizione del termine. Ora guardatevi allo specchio, e provate a sputare contro quello stesso specchio. Se vi riuscite, carpirete che vi siete sputati in faccia da soli pur non volendolo, ma ripetete il gesto all’infinito. L’imbarazzo che ne deriverà è il sintomo palliativo della vostra dignità, ed altro non è che la stessa sensazione che la vostra presunzione reca ai vostri interlocutori, a chi dialoga (se vi riesce ancora) con voi. Non temiate effetti rebound né crisi d’astinenza, se la presunzione svanisce il corpo ne sarà contento.

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