Dal monte Cicala alle vette d’Europa: Giordano Bruno che supera i tempi
“Colui
che vede in sé stesso tutte le cose, è
al tempo stesso tutte le cose” [1]
[1] Giordano Bruno, De Imaginum Compositionem.
Probabilmente
non basterebbe un intero manuale per abbozzare, seppur in modo didascalico, i
tratti salienti del suo pensiero e della sua opera. Probabilmente su Giordano
Bruno non si è mai detto abbastanza, o forse si è detto tutto. E probabilmente ci
si limita, ovviamente con cautela, a rivelare il Bruno eretico, averroista[1],
copernicano ed, al contempo, neoplatonico senza fermarsi a contestualizzare: a circoscrivere,
cioè, con attenzione e con garbo, la referenza spaziotemporale del suo pensiero
in netto e continuo evolversi. Filippo Bruno nacque a due passi da noi, nella contrada di San Giovanni del Cesco a
Nola, studiò e ricevette il saio domenicano nel vicino convento di San Domenico
Maggiore, eppure a volte, la sua sublimità e la sua peregrinazione errante, dalla
Svizzera alla Germania passando per la Francia e l’Inghilterra, ce lo lascia
immaginare distante, ergo, remoto da noi e dalle nostre vite: in realtà Bruno fu
sì un sagace ramingo, ma non era altro, e prima di tutto, che un figlio di
questa terra. I due scrittori che più influenzarono le sue vedute cosmologiche
furono Lucrezio e Nicolò Cusano che occupano due poli opposti della filosofia:
il primo, negando la validità del pensiero teologico, il secondo cercando nella
sua cosmologia una conferma alla sua teologia[2]. Proprio
in quegli anni, il dibattito cosmologico, mise in crisi il vecchio sistema
medievale, in cui prevalevano le tesi aristoteliche e tolemaiche: inutile
anticipare che il Bruno apprezzò Copernico giungendo alla tesi di un universo infinito,
in una grande visione che per sua stessa natura non poteva essere condivisa né
dalla sua generazione, né da quella successiva[3]. Il
nolano, inoltre, renderà di nuovo caldo il tema del monadismo[4] lasciando
campo aperto alla sua futura magia matematica. Già dai suoi primi anni
nell’ordine, non si mostrò zelante con l’ortodossia cattolica e, nello
specifico, domenicana: dalla teoria controriformistica, si terrà, costantemente,
a debita distanza. Il debole scetticismo verso Ario e la sua dottrina, la visione
neoplatonica sulla trinità, la
perplessità sulla transustanziazione, la non celata passione per Erasmo da Rotterdam ed
il rimprovero perenne alla scarsa cultura nell’ordine dei predicatori, furono
alcuni dei fattori che sollecitarono, contro di lui, le accuse di eresia da
parte dell’Inquisizione: da quel momento fra’ Giordano sarà un treno in corsa
che, di tappa in tappa, fuggirà dalle accuse e dalla sua coscienza, senza
indietreggiare mai di un passo, né di una parola. A Parigi, nacquero le sue
prime opere, tra cui la celebre commedia il “Candelaio”
(1582) che, in cinque atti, denunciava la corruzione e la pedanteria che
attanagliano la ragione umana. Ad Oxford invece, Bruno si guadagnò, in breve
tempo, i sospetti dell’intellettualismo clericale ed universitario per aver
sostenuto con forza e con ricercate argomentazioni le tesi copernicane:
l’ambiente londinese non era ancora pronto all’avanguardismo ideologico
bruniano. Ritornò in Francia e poi si fermò in Germania, dove insegnò per due
anni all’Università di Wittemberg.
Nonostante le avversità, la sua esperienza filosofica e letteraria proseguì
senza freni: pubblicò in volgare la “La Cena de le Ceneri”, il “De la causa, principio et uno”, il “De l'infinito, universo e mondi”, lo “Spaccio
de la bestia trionfante”, gli “Eroici
furori” e la “Cabala del cavallo Pegaseo con l'aggiunta dell'Asino
Cillenico” in cui Bruno si introduce, con maestria, nel mondo
cabalistico; mentre le sue opere in latino, datate dal 1582 al 1591, sono
innumerevoli. Forse commise l’imprudenza di tornare in Italia, quando il
patrizio veneziano Giovanni Mocenigo, che era venuto a conoscenza della
passione di Bruno per la mnemonica e le arti magiche, lo invitò per ricevere
dal famoso domenicano alcune lezioni, ma non s’aspettava ciò che, in realtà,
gli sarebbe accaduto. Mocenigo, infatti, lo denunciò all’Inquisizione
accusandolo di blasfemia: fu quello un punto di non ritorno nella parabola
discendente bruniana. Il filosofo nolano verrà processato a Roma, e durante la
sua prigionia sarà più volte sul punto di abiurare, ma ciò, sostanzialmente,
non avvenne mai: non rettificherà neppure la sua visione eraclitea
dell’universo che si accompagna alla convinzione secondo cui alla base di
questo divenire sia l’eternità dell’essere[5].
Nonostante si sia parlato, per lungo tempo, di presunte torture subite dal
Bruno durante il processo romano, lo storico Andrea Del Col sostiene che, in
realtà, Bruno non fu mai torturato[6]. Invero
l’ultima proposta di abiura che fu sdegnosamente respinta dal Bruno, calò il
sipario sul verdetto giudiziario: il 17 febbraio del 1600, Giordano Bruno, fu
arso al rogo in Campo de’ fiori a Roma. La fortuna di Bruno, nei secoli,
investirà anzitutto il campo filosofico e quello letterario, specie riguardo
sue le opere in italiano, ma è innegabile che, seppur non sia stato un uomo di
scienza, si sia ritagliato un suo personale spazio nella storia della fisica e
della cosmologia mondiale. Sua Santità Giovanni Paolo II, il 18 febbraio 2000,
nel quarto centenario della sua morte, ebbe a dire: “costituisce oggi per la Chiesa un motivo
di profondo rammarico” ma “il cammino del suo pensiero lo condusse a scelte
intellettuali che progressivamente si rivelarono, su alcuni punti decisivi,
incompatibili con la dottrina cristiana".[7]
L’eretico.
(poesia a
Giordano Bruno
in dialetto nolano)
“Arape
l’uocchie:
o Munn sta
cagnann!
Nun ha ssiente
l’aria nova?!
‘A vita sta
passann!
Nun s’impone a
verità!
Nun se po’ cchiu
aspettà pà libertà!
Sta idea ‘ra mia
nun po’ murì!
Chi è Dio? ‘A
gent vo’ capì!
Vò cunoscere
chesta filosofì!
Simme eretici
pe’ cchi nun
sape
cchiu penzà!
Simme ‘o male
pe’ ‘a chiesa
che sarà!
Simme fuoco,
fummo e cenere
pe’ dint’e
strade ‘e ‘sta città.
Gesù Cristu mio,
a storia me
darà ragione!
Nunn è giusta
‘sta prigione!
Vivo sulo pe’
sapè!
Io vivo sulo pe’
Tte!”
[1] Averroista: seguace del filosofia dell’arabo Averroè (1126-1198),
che dalla seconda metà del sec. 13° a tutto il sec. 16°, si rifà alla dottrina
aristotelica, sostenendo l’eternità e necessità del mondo, la dottrina della
doppia verità, cioè di una verità di ragione e di una verità di fede. Treccani.
[2] Dorothea Waly
Singer, Giordano Bruno, Milano,
Longanesi & C., 1957
[4] Monadismo: In filosofia, ogni concezione che interpreti il
mondo (o un suo determinato aspetto) come risultante dalla coesistenza di
monadi. Treccani.
[5] Carlo Monti,
Introduzione di Opere Latine di Giordano
Bruno, Torino, Utet, 2000.
[6] Andrea Del Col, L’inquisizione in Italia. Dal XII al XXI secolo, Milano,
Mondadori, 2007.
Commenti
Posta un commento