Profezia e contestazione: il connubio dell'innovazione savonaroliana
Del
ferrarese Girolamo Savonarola si potrebbe parlare a lungo, ma probabilmente si
direbbero cose che, in qualche maniera, sono già note ai più: la sua sagoma ed
il suo spessore storico e culturale, difatti, sembrano incisi nella memoria
dell’Ordine Domenicano e custoditi negli scaffali dei saloni laici e religiosi
del nostro tempo. Della sua fantomatica scomunica, poi, ne hanno parlato
largamente storici, studiosi e teologi. Si potrebbe facilmente dedurre dalla
cronistoria della sua vita e delle sue opere che sia stato un contestatore, un
predicatore profetico, a tratti un meritevole esponente del repubblicanesimo fiorentino.
Ma, anche in questo caso, è già tutto scritto negli annali anche se, in qualche
maniera, i luoghi comuni, le facili interpretazioni ed i gratuiti attributi
costruiti intorno al Savonarola specie nell’epoca moderna, sono quanto meno
opinabili. È interessante, piuttosto, ai fini della nostra contestualizzazione argomentativa,
focalizzare le nostre attenzioni, dopo aver esaminato approfonditamente il suo
pensiero, sui rapporti che intercorrevano tra il predicatore domenicano e la
curia papale: fra Giacinto Scaltriti, nel lontano 1954 pubblicava sulla
«Palestra del Clero» un articolo in cui riassumeva la questione savonaroliana, sostanzialmente,
in tre termini e cioè se avesse o no disobbedito al Papa, se fosse stato o meno
un vero Profeta mandato da Dio, ed in che termini questo carisma profetico
avesse inciso nei suoi rapporti con la Gerarchia. Partire da qui, sarebbe non
di certo risolutivo, ma senza dubbio soddisfacente. Fra Raimondo Spiazzi, nella
sua presentazione al Dialogo sul Savonarola
del 1985, ci anticipa qualche risposta, specie quando
afferma che la profezia ha la sua ragion d’essere quando è un carisma autentico
e si inserisce nel corpo della Chiesa ed anche se non è detto che non possa
squillare come la tromba dell’Apocalisse, il profeta dovrà essere certo di
avere dalla sua parte i «segni di Dio». Sull’obbedienza, e quindi sui rapporti
tra Girolamo ed Alessandro VI, Spiazzi la qualifica come virtù e dovere di
tutti i cristiani, anche degli eventuali «profeti»: ma essa ha un limite nel
contrasto oggettivamente evidente tra il comando del superiore e la legge di
Dio, recepita in una coscienza «retta» e «conforme alla verità». Aldilà delle
veementi delucidazioni dello Spiazzi, che in certo modo giustificano l’azione
decisa di Savonarola, è proprio padre Scaltriti, che passando in rassegna il
forte tomismo insito nel frate ferrarese, ne traccia un profilo fortemente
cristiano: «Savonarola ha nell’anima veramente Cristo. Inoltre, ha nel cervello
quella formidabile sintesi teologica e filosofica di San Tommaso D’Aquino che,
quando sia bene intesa, sfiora la perfezione speculativa». Tralasciando le sue intuizioni
politiche ed etiche, che fanno di Savonarola uno degli uomini più innovativi e
rilevanti del quindicesimo secolo, quelle dal punto di vista religioso meritano
ugualmente attenzione: innanzitutto la sua innovativa Teologia della profezia
cristiana fu uno squillo di tromba, un aura di luce che smosse le coscienze ed
alimentò nel suo popolo la sete di libertà mista a quella perenne ricerca della
verità: del resto, proprio Gesù Cristo scosse il mondo con questo squillo di
tromba: «La verità vi farà liberi». Savonarola, perseguì la sua dote profetica
sia per denunciare le ingiustizie della realtà politica sia per ammonire, a più
riprese, la scarsa rettitudine del Clero, che era anche il suo, ma lontanissimo
dalla sua anima. A Savonarola imputarono di infastidire la gente con quelle sue
profezie che promettevano, al loro dire, solo male. In realtà, fu facile
puntare sulla disciplina ecclesiastica, essendo il papato e la curia romana
completamente nelle mani dei Borgia che, come casato, erano tipici esponenti del
costume tirannico e criminale del tempo. Facile indurre Alessandro VI alle censure
ed estorcergli una scomunica; facile calunniare il Savonarola di eresia,
quantunque la stessa Inquisizione non avesse trovato nulla in lui contro la
fede e i costumi. Ma seppur fortemente critiche e
polemiche, la sua contestazione e le sue profezie, non culminavano nella
sciagura futura, ma promettevano «un mondo tutto nuovo». Per comprendere meglio
la sua grandezza, padre Scaltriti ci suggerisce la lettura de Il
Trionfo della Croce, il suo capolavoro, oppure del suo
commento al Miserere, scritto
in carcere, con le membra spezzate dalla tortura, ma con lo spirito già aperto
alla gloria di Dio che di lì a pochi giorni gli avrebbe arriso per l’eternità.
E
come definire, se non profetica, anche la sua fine: il 13 maggio 1494 fu
scomunicato da Papa Alessandro VI Borgia; il 26 febbraio dell’anno successivo fu
ratificato l’ordine del suo arresto; il 23 maggio dello stesso anno fu arso al
rogo, assieme a due suoi confratelli, in Piazza della Signoria a Firenze; ora è
Servo di Dio e la sua causa di beatificazione è stata avviata il 30 maggio 1997
dall’arcidiocesi di Firenze.
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