Il Vangelo di Pasolini: versione laica della cristianità
Prima di essere presentato alla Mostra Internazionale d’Arte
Cinematografica di Venezia nel 1964, de Il Vangelo secondo Matteo, l’opera
cinematografica incentrata sulla vita di Gesù secondo il Vangelo del pubblicano e
diretta dal controverso Pier Paolo Pasolini, non si sapeva molto, anzi ci si
era limitati al solo timore di cosa il regista avesse potuto rappresentare,
dato il suo noto e datato laicismo, condito da fragranze anticlericali. In
effetti, il cineasta emiliano non disattese le ambizioni dei critici cinematografici
e dei dogmatici di Mater Ecclesia.
Per rappresentare la vita di Cristo, Pasolini si affidò
ad attori non professionisti, addirittura ad amici: il protagonista fu il
catalano Enrique Irazoqui, un sindacalista 19enne, oppositore dell’iberico
regime franchista; si servì di sua madre
Susanna per interpretare la Madonna anziana. La
pellicola fu girata in diverse località italiane del sud: da Ginosa a Manduria
passando per Gioia del Colle in Puglia; a Barile e Matera in Basilicata. Per le
musiche, tutte ad alto impatto nelle scene pasoliniane, fortemente connotate
dall’indivisibile binomio “immagini-musica”, si affidò al compositore laico ed agnostico, Luis
Bacalov. La sua fatica, per taluni, risultò addirittura essere un vilipendio
della religione, mentre per il più fedele ed oculato organo di stampa vaticano,
l’Osservatore Romano, si trattava di una rappresentazione fedele al racconto,
ma non all’ispirazione del Vangelo. A stemperare i toni, ci pensò la Notte, il
quotidiano del pomeriggio milanese, che lo definì un ottimo film: più cattolico
che marxista. La messa in opera di un film, sulla vita di Gesù, dall’annunciazione
a Maria della nascita del Figlio di Dio sino alla Sua Resurrezione, da parte di
uno degli intellettuali laici, con un tocco di anarchismo, più influente e
scandaloso dell’epoca, pareva, per una vasta parte della Chiesa, tutta dedita e
rapita da un Concilio Vaticano II che ne avrebbe delineato nuovamente le
salienti prerogative, più un’insidia che uno spolverato manuale di riferimento.
Alle premature polemicità che suscitarono le prime proiezioni del film,
laicamente antidogmatico e demistificatorio, Pasolini rispose: «Avrei potuto demistificare la reale situazione storica, avrei potuto demistificare la figura di Cristo
mitizzata dal Romanticismo, dal Cattolicesimo
e dalla Controriforma, demistificare tutto, ma
poi, come avrei potuto demistificare il
problema della morte? Il problema che non
posso demistificare è quel tanto di profondamente irrazionale,
e quindi in qualche modo religioso, che è nel
mistero del mondo. Quello non è demistificabile». In
effetti, la sua idea di Vangelo, si sposava, in primo luogo, con quella della morte, uno dei temi fondamentali del suo impegno intellettuale. Tra tutti quelli che
conosciamo, quello di Matteo, è il Vangelo in
cui per antonomasia, la figura di Cristo viene
umanizzata, a discapito della Sua
divinizzazione: si spiega, forse, in questo senso
la scelta del poeta di affidarsi alla versione dell’apostolo che più di tutti si è focalizzato sulla figura di
un Redentore che non è venuto a “portare la
pace ma la spada”. In seguito, col passare del
tempo e della popolarità della pellicola,
probabilmente anche in virtù dei suoi chiarimenti,
Pasolini fu apprezzato ampiamente dalla critica
cattolica, meno da quella di sinistra. «Io ho potuto fare
il Vangelo così come l’ho fatto – rispose alle critiche
- proprio perché non sono cattolico, nel senso restrittivo e condizionante
della parola: non ho cioè verso il Vangelo né
le inibizioni di un cattolico praticante, né quelle di un cattolico inconscio».
Quando si vide attaccato proprio dal suo mondo più congeniale, quello a tinte
rosse, Pasolini non rincarò la dose, cercando di individuare
nel materialismo borghese, il nemico di comunisti e cattolici, che divenivano,
quindi, nell’idea del poeta, quasi uniti nella
lotta alla superficialità del materialismo, ritenuto unico vero nemico di
Cristo. Pasolini intravide, paradossalmente,
nell’ateismo di un comunista una certa religiosità in quanto “si possono sempre ritrovare quei momenti di idealismo, di
disperazione, di violenza psicologica, di volontà conoscitiva e di fede che sono elementi, sia pur disgregati, di
religione”. Oggi la pellicola che ha soffiato da poco le 50 candeline, è ritenuta uno dei capolavori del cinema religioso
ed ha ottenuto il beneplacito ufficiale e non più ufficioso, dell’Osservatore
Romano che, senza frizioni né inibizioni di sorta, l’ha
definito il più bel film mai girato su Gesù.
Il
Vangelo secondo Matteo, dedicato alla “cara, lieta, familiare memoria di
Giovanni XXIII”, è il trionfo di una
cristianità umile, quotidiana, oserei dire, senza sfiorare crismi eretici,
quasi laica: il Gesù carico di tristezza e di
solitudine, in cui Pasolini ha riversato la sua nostalgia del mitico, dell’epico,
del tragico, ha vinto sullo scetticismo e sui nasi storti del dogmatismo
preconciliare.
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